Sulla riva del fiume attendendo… Pokemon

Che cosa c’è di così affascinante nell’andare in giro per le strade a catturare cose che non esistono?

Spopola in questi giorni una nuova applicazione per smartphone, Pokemon GO, lanciata in Italia dal 15 luglio e già raccoglie decine di migliaia di download.

Io credo che la spiegazione per questo successo, tanto istantaneo quanto globale, vada ricercata ad un livello più profondo, e sta nell’aver finalmente compiuto un grande salto verso la fusione fra mondo reale e mondo virtuale, la cosiddetta “realtà aumentata”.

Pokemon Go è un software ancora grezzo e primitivo e, intendiamoci, ha anche i suoi pregi: si tratta di un gioco pensato per i bambini, li obbliga ma più accuratamente possiamo dire che li spinge con entusiasmo ad alzarsi dal divano di casa e a correre ad esplorare il mondo e, in una società in cui i ragazzini tendono all’obesità per il troppo ozio, non è certo da considerarsi un male.

La cosa più allarmante è, invece, l’impulso irrefrenabile che spinge milioni di ragazzini e sicuramente anche adulti a cercare e desiderare qualcosa di totalmente futile, per un obiettivo finale tragicamente alienante. Forse il sistema sociale sta andando in questa direzione: bambini allegri e dementi che rincorrono illusioni e spendono cifre folli per realizzarle, finché avranno un lavoro per potersele permettere.

Anche se non credo che questo sia indice del progressivo disfacimento della percezione della realtà dell’umanità, ritengo che (semmai) il fenomeno Pokemon Go sia indice di come si presentano nuove realtà, con le quali siamo noi a non essere in sintonia e, dunque, ad avvertirle come insulse, bizzarre e alienanti. (Forse sto diventando anziano…)

Ora, se un giorno ci troveremo sulla riva di un fiume ad attendere di veder passare il cadavere del nostro nemico, invece di goderci il territorio ed il profumo degli alberi prendendoci tutto il tempo che vogliamo, saremo con uno smartphone a cercare possibili Pokemon nei dintorni.