Sono un programmatore sin dal lontano 1984.
Usavo il mio Commodore 64 per creare applicazioni o per comunicare in una delle prime chat italiane. Le informazioni che si reperivano erano per lo più tecniche e nessuno si sarebbe sognato di fornire notizie non veritiere. Sarebbero passati altri dieci anni prima che il web diventasse di uso comune e altri dieci per quello che è diventato oggi. Basta fare una ricerca su internet con le parole chiave “rischi” e “pericolo” e i risultati sulle insidie che questo strumento comporta sono impressionanti.
Non è mio costume trarre giudizi negativi sulle nuove tecnologie, al contrario ho sempre visto l’innovazione come un mezzo per mettere a frutto le competenze acquisite negli anni, ma ultimamente ho come l’impressione che ci sia una sorta di demonizzazione sull’uso di internet. Lo prova il fatto che sono sempre più numerosi i siti che si impegnano a combattere le bufale che vengono propinate attraverso i maggiori social network.
Una volta, per affermare una “verità” si diceva “l’hanno detto alla tv”, adesso per dare forza alle proprie idee si dice “l’ho letto su internet”.
Ora il punto è questo: il problema della disinformazione non può essere scaricato sul mezzo informatico o, almeno, non del tutto. E’ vero che chiunque può svegliarsi un mattino e scrivere qualsiasi cosa gli passi per la mente e far circolare questa notizia come veritiera, ma è pur vero che una persona formata al senso critico, alla ricerca analitica, al pensiero riflessivo è in grado di contestualizzare il messaggio e farne l’uso più opportuno. Il punto principale della questione, quindi, è la gestione della conoscenza: è saper fare buon uso dei mezzi a disposizione che crea l’opportunità di arricchimento del proprio sapere e quest’ultimo crea le basi (in un “circolo ricorsivo” utilizzando un famoso motto di Edgar Morin) per meglio utilizzare internet come un’opportunità di pensiero attiva e non solo come uno strumento di apprendimento passivo.
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