Suzuki Bandit

La mia prima moto

Se per molti l’acquisto di una moto può essere un’esperienza normale, per me (non poteva essere diversamente) ha rappresentato una specie di avventura.

Quando, dopo aver tergiversato diversi anni, feci la scelta di comprare finalmente una motocicletta, mi recai da Napoli fino a Vicenza dove ad attendermi c’era un amico che aveva una concessionaria.

Giunsi a quella decisione subito dopo essermi separato da mia moglie, con l’ovvia motivazione di proclamare la mia voglia di libertà.

Devo premettere che fino a quel momento avevo guidato sempre e solo unavecchia vespa T5, ma mi sentivo preparato ad affrontare il grande passo. Tuttavia era un’altra la cosa che rendeva il mio acquisto più allarmante: non avevo ancora superato l’esame per conseguire la patente A.

Comprai un biglietto del treno di sola andata e, durante tutto il viaggio, accompagnato da un consapevole senso di irresponsabilità, fantasticai di guidare la mia moto fino a casa. Ora ero in autostrada che azzardavo un sorpasso, ora in autogrill fermo a fare rifornimento, ora accarezzavo le manopole portando immediatamente le mani al naso per annusare l’odore della gomma che le ricopriva.

Una volta giunto a destinazione, il mio amico mi mostrò un enorme salone in cui c’erano decine e decine di moto di tutti i tipi. Ne provai un paio, una era troppo costosa e l’altra non aveva tutta la grinta che mi aspettavo. La mia scelta finale cadde su una Suzuki Bandit di colore nero, proprio come quella della foto qui sopra.

Purtroppo (o per fortuna) le condizioni meteorologiche in quel giorno erano pessime, si era quasi a fine febbraio e tutta l’Italia stava per essere ricoperta dalla neve. Scelsi quindi, saggiamente, di non rischiare il viaggio in autostrada e di effettuare la spedizione della moto tramite corriere.

Dal corriere

Due settimane dopo fui avvisato al telefono che la moto era giunta a Napoli. Era una splendida giornata di sole, il cielo era di un colore blu intenso, qualche nuvola completamente bianca passava veloce a ricordare il maltempo dei giorni precedenti.

Per il ritiro, mi feci accompagnare da alcuni amici a cui dovetti spiegare che nonostante non avessi ancora la patente avevo deciso di guidare in ogni caso la moto. Li convinsi assicurandoli che l’avrei portata solo per il tratto necessario per giungere a casa.

La moto aveva viaggiato in una scatola di legno enorme, assicurata da cavi di sostegno per tenerla in piedi. L’addetto al trasporto aprì il box e poggiò alla base dell’apertura una tavola di legno a mo’ di ponte levatoio. Salii sulla pedana così rialzata e mi misi cavalcioni sulla moto. Avevo portato con me un piccolo casco che assomigliava più ad un elmetto con una minuscola visiera sulla fronte; l’indossai e quindi accesi il motore. Rimasi per qualche secondo in ascolto del rombo che fuoriusciva dallo scarico.

La mia indecisione ad uscire dal box nasceva dal fatto che avrei dovuto far passare la moto sulla tavola di legno che era larga più o meno una ventina di centimetri ed avevo paura di piombare a terra fracassando tutto. Nonostante ciò riuscii in quella che sul primo momento sembrava un’impresa. Feci un giro di ricognizione nel parcheggio, poi mi diressi verso l’autostrada.

Il volo

Mantenni una velocità, come si suol dire, di crociera intorno ai 50/60 Km orari, ma quando mancavano ormai un paio di chilometri all’uscita, decisi all’improvviso di accelerare. Diedi un colpo risoluto di gas aggrappandomi più forte che potevo al manubrio, assumendo la tipica posizione del biker da corsa.
Sentii l’attrito del vento sulla visiera del casco che mi spinse la testa violentemente all’indietro, prima di sfilarsi da sotto il mento e volare via lontano proprio sotto il guardrail al centro dell’autostrada.

Accostai subito, non potevo continuare a guidare senza casco, pertanto decisi di recuperarlo. Fortunatamente in quei lunghi istanti non passò nemmeno un auto. Feci una corsa con il cuore in gola al centro dell’autostrada e tornai sulla corsia di emergenza zuppo di sudore per la tensione e il pericolo scampato.

Giunto a casa, parcheggiai la moto in giardino, le poggiai su un telo di protezione e non la guardai più. L’avrei fatto soltanto un mese più tardi, dopo aver finalmente conseguito la patente.


[amazon_link asins=’B01MRBLVDY,1520499825′ template=’ProductCarousel’ store=’blogdisergcas-21′ marketplace=’IT’ link_id=’aa1966ed-fdb8-11e6-b8a2-8f8d6f018901′]